La presenza degli altri esseri umani

La presenza di altri esseri umani costituisce una continua sfida al volto che cerchiamo di presentare al mondo. A ciascuno di noi è stato insegnato a mantenere una certa misura di controllo sui suoi appetiti più primitivi, e a presentare se non altro una facciata di socievolezza e di autocontrollo. Si suppone infatti che a essere in evidenza siano le virtù del cosiddetto ‘buon carattere’ (per quanto queste possano variare da gruppo a gruppo). Ci si aspetta che l’individuo dimostri qualche elemento di rispetto per gli altri, di cooperazione, di sincerità, e di modestia. E gli si richiede un livello minimo di contegno civile, espresso dal ballo mascherato dei compromessi sociali.

Dobbiamo agire come se non fossimo spinti da poderosi impulsi biologici, come se non fossimo perseguitati dalle immagini oscure di un remoto passato, come se la nostra identità sociale rappresentasse il nostro vero essere. Al fine di farci restare entro i limiti accettabili definiti dal nostro ruolo, dal nostro personaggio, ogni interazione sociale è intrisa di cerimonie, convenzioni e dialoghi rituali, che servono a mantenere una patina di civiltà. Qualsiasi infrazione o deviazione che, volontariamente o involontariamente, possa rivelare la nostra natura primitiva, è soggetta a censura, e viene prontamente corretta con opportuni scambi di scuse. È così che le poderose immagini mitiche primordiali che governano il comportamento umano rimangono nascoste dietro una facciata di ragionevolezza formale.[…]

(Sheldon B. Kopp, The Hanged Man: Psychotherapy and the Forces of Darkness,cit., pag. 32.)

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