Dislessia ed altre “ie”

Articolo di Marco V. Masoni

Non amo né la burocrazia né navigare nei meandri delle leggi e nelle loro foreste di rimandi, quindi non aspettatevi citazioni di leggi, codicilli, decreti, raccomandazioni ecc.. Ma so che nell’ultimo decennio, da più parti, da sinistra e da destra, i vari tentativi, le proposte, le bozze di riforma della scuola hanno tenuto in conto, o comunque non ignorato due esigenze emergenti:

1) Vanno valorizzate le differenze individuali.

2) Occorre, negli insegnanti, accostare alle competenze disciplinari (le materie), anche competenze relazionali.

L’autonomia, voce dalle potenzialità grandiose, luogo nel quale sarebbe possibile mettere in atto pratiche coerenti con quei due principi, è stata però trascurata, scordata, o trasformata in POF, cioè in una vetrina nella quale troppo spesso la scuola mette in mostra le sue “autonome” merci, per acquisire clienti (iscritti).

Valorizzare le differenze individuali significa, non “sopportare”, ma VALORIZZARE differenze di stili cognitivi, di stili di apprendimento, di preferenze espressive, di modalità di ragionamento, di tipi di intelligenza, ecc. Significa ampliare il campo della normalità. Siamo nell’epoca nella quale da due decenni, pur con enormi resistenze, stiamo riuscendo a far accettare come normalità l’omosessualità (grazie ad una legge non è più lecito dichiarare malati gli omosessuali e tantomeno “curarli”) ma, dalla porta di servizio, spalancata come un arco di trionfo, rientrano “malattie” come il comportamento ipercinetico, le difficoltà attentive, la cosiddetta “dislessia” e tutte le “ie” ad essa imparentate.

Riporto il commento accorato di una mamma, alla quale vanno tutto il mio rispetto, il mio affetto e la mia comprensione, ma che ritengo vittima di una offensiva, come dire? Terapeutica? E di una, forse interessata, intolleranza verso le differenze individuali:

Marco, tu scrivi che la dislessia è evidenziata unicamente attraverso i test… Dimenticando completamente altri disturbi che accompagnano un bambino dislessico

“I DSA sono molto spesso associati ad altri disturbi, questa caratteristica si chiama comorbilità”:

iperattività, attività motoria grossolana, facile distraibilità, difficoltà di concentrazione, scarso autocontrollo, scarse relazioni con i compagni, comportamento immaturo… Continuo con ciò che si nota a scuola: difficoltà a riconoscere schemi e simboli visivi, difficoltà visuo-motorie, difficoltà nel riconoscimento/riproduzione dei suoni, talvolta anomalie nel linguaggio.

Io sono solo la mamma di un bambino dislessico… Non ho le competenze per affermare che ciò che tu dici sia vero o meno…

Ma sicuramente ho i miei occhi e il mio CUORE

PER DIRTI CHE NON E’ VERO CHE “la dislessia non esiste”….

Solo con una diagnosi adeguata, io ho potuto salvare mio figlio da una sicura depressione: ho potuto chiedere aiuto alle insegnanti, applicare le giuste misure a casa, avviare un piano di recopero logopedico

E SOLO COSI’ oggi posso dire che va un po’ meglio.

Una mamma

Cara signora, lo sa che se mettessi al posto del suo elenco di “comorbilità” (anche se l’elenco non è suo, ma lo ha preso in rete) l’espressione “mio figlio va male a scuola”, non cambierebbe quasi nulla? Incontro ogni giorno genitori disperati, addolorati, per il fatto che i  loro figli “vanno male” a scuola. Lo sa che l’abbandono scolastico si sta espandendo e ora riguarda la scuola media dell’obbligo? Lo sa che decine di ragazzini di dodici anni restano a casa, perché non riescono più ad andare a scuola? Lo sa che la scuola è in crisi? Una crisi feroce. Le classi sono sempre più difficili da “tenere”. Aumenta il burnout degli insegnanti (significa “scoppiatura”).

Signora, lei, in buona fede, sta chiamando “comorbilità” l’insieme dei problemi che la scuola sta cercando di affrontare in questi anni, e non ci riesce, o ci riesce sempre meno. La scuola sta cercando infatti di utilizzare i metodi di sempre: introduce regole, sanzioni ecc. Non si rende conto (certo, non tutta la scuola, conosco insegnanti e presidi meravigliosi) che i ragazzi e i bambini sono cambiati. Non si rende conto che hanno più dignità di quanta se ne aveva noi da ragazzini. Certo, i ragazzi non la sanno comunicare, a volte sono irritanti, ma il modo più efficace per mostrare il loro cambiamento rispetto alla scuola lo trovano in fretta: disinteresse, apatia, demotivazione, disattenzione (certo! Lei riuscirebbe a stare attenta a cose che non le interessano?), perfino il bullismo è un modo per esprimere il loro rifiuto ad un mondo che sentono alieno. Si ricorda signora di quando, una trentina d’anni fa si dibatteva sul latino?: latino si?/latino no? Allora alcuni ragazzi dicevano “Che c’entra il latino con la mia vita?”. Ora mi sento dire: “Che c’entra la scuola con la mia vita?”

Signora, quando un’insegnante mi dice: Ho una classe difficile. Rispondo: cioè? E nella maggior parte dei casi mi risponde: parlano, disturbano, si alzano, non seguono.

Stiamo tutti dimenticando (anzi, scusate, io no) che la scuola, questa scuola, con gli edifici scolastici, le aule e i gruppi classe, con le materie e i programmi, non è uno spaccato sull’eternità: ha avuto una origine, circa due secoli e mezzo fa, è nata per perpetuare i saperi necessari ad alimentare le nuove identità nazionali. Dal pedagogo o precettore privato, che veniva invitato dalle famiglie ricche a portare i propri saperi, si è passati a saperi ben definiti (è allora che nasce il programma), saperi “comandati”, da non discutere con i bambini e i ragazzi. Gli insegnanti, categoria anch’essa “inventata” in quel tempo, avevano il compito di passare ai piccoli i saperi da altri (le agenzie legittimate) messi a punto. Senza discussione, cioè nel silenzio. Si chiama scuola del monologo o del silenzio, appunto. Ma i tempi sono enormemente cambiati. Siamo di fronte a bambini e a ragazzi che, nientemeno, voglio co-costruire i saperi, vogliono discutere (certo non ci invitano a farlo in modo piacevole). Siamo di fronte a generazioni che per un aumento di dignità appaiono disobbedienti, e allora osservate il nodo feroce: saperi comandati a ragazzi disobbedienti. Altro che co-morbilità. Miopia degli stati, Miopia della politica (tutta), Miopia della scuola.

Vogliamo rimediare decidendo che sono miopi i nostri figli? Per decreto diagnostico?

Cara signora, all’università “La sapienza” studiano da anni le nuove intelligenze. Le chiamano “non sequenziali”, sono le intelligenze dei ragazzini della playstation, di quelli che non reggono un discorso per più di un minuto, che non si concentrano, che non provano interesse… Per ciò che a noi pare vitale, ma che sanno fare cose per noi impossibili: colgono la conoscenza a colpi di flash, senza un percorso, non sequenziale, appunto. Pare che siano le intelligenze del futuro, dovremo a loro le future invenzioni. Molti, naturalmente, avranno grandi difficoltà nella scrittura…

Marco Vinicio Masoni

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