Mamme vs matite e Tablet (o cellulare)
(La breve storia della deriva esistenziale di una matita)
Non potete immaginare quanto sia bella una matita 2B e quanto possa essere buono, in certi momenti, il sapore del suo legno. Lo so perché, nelle lunghe ore pomeridiane, quando ero uno studentello di 12-13 anni, durante il mio calvario scolastico, passavo ore a fissare quella matita, mentre inutile giaceva davanti a me il libro di matematica. I numeri degli esercizi con la x, cioè quelli apparentemente svolti, erano decisamente pochi. Qualcosa interveniva, mentre mi sforzavo di portare a termine i compiti, che, immancabilmente, rendeva più attraente la matita degli esercizi. I miei pensieri? Sicuramente Anna, la ragazzina bionda del banco davanti al mio, a cui tiravo i capelli per farla girare a guardarmi… Ma poi c’erano gli amici, il bisogno di stare nel gruppo, i primi momenti di indipendenza, la scoperta della sessualità, la solitudine, gli entusiasmi… Troppe cose per un ragazzino a cui si chiedeva solo di studiare e andare bene a scuola. Una vita dentro un’altra vita, dentro altre vite.
Mentre ora siedo nel mio studio e sono psicologo, ascolto una mamma che lamenta la mancanza di voglia di studiare del figlio: non fa i compiti, sta ore e ore a giocare sul tablet. Dottore, non so che cosa fare! Io la guardo e oggi, diversamente dal solito, dove avrei parlato bla bla bla, le chiedo, “signora avete delle matite in casa?”. “No”, risponde. “Ecco il problema!”, dico seriamente.
Prima osservazione: ai miei tempi, non c’erano tablet e telefonini, ma io ugualmente non avevo voglia di studiare… Che poi non è corretto, perché ho due lauree più qualche master. E vi posso assicurare che nella mia classe ce n’erano di ‘teste calde’, non ero l’unico a non studiare.
Seconda osservazione: i miei genitori non sapevano se studiassi o meno, se ne occupavano poco. La porta della mia stanza era quasi sempre chiusa. Per loro ero seduto alla scrivania a studiare. Immaginando un salto temporale, non potevano sapere se la mia distrazione fosse causata dalla matita o da un tablet. Quindi se non sai, non te la prendi con il tablet o, nel caso dei miei genitori, con la matita.
Terza osservazione: mancanza di voglia avevo io, mancanza di voglia hanno la maggior parte dei bambini di scuola media, oggi (ehm, di scuola secondaria di primo grado). Dunque, ad essere scientifici, c’è una costante, la mancanza di voglia (ma potremmo parlare della disobbedienza, della mancanza di rispetto, ecc.) che attraversa qualche generazione, a partire dagli anni ‘80 in poi (Masoni, 1990, 2000, 2022). Però, ‘mancanza di voglia ‘, come etichetta, non mi piace, è riduttiva, diciamo che io, all’epoca, non pensavo sempre a studiare. Come ho detto, pensavo anche ad altro. È così i miei ‘confratelli’ svogliati di oggi, non sempre pensano a studiare ma pensano anche ad altro. La scuola, lo studio e i compiti cadevano e cadono in secondo piano rispetto ad altri pensieri, altri bisogni ignoti ai genitori che o non ne hanno mai avuti (ne dubito) o quanto meno li hanno dimenticati (più probabile).
Allora, concludiamo. Negli articoli di giornale, in tv (accidenti), a scuola, nelle famiglie molti dei problemi di studio, di obbedienza o di educazione vengono ‘spostati’ sull’abuso del tablet, del cellulare, di internet, ecc. Da psicologo non posso affermare che oggi non esistano reali problemi legati all’uso delle tecnologie, ma, come ho scritto altrove, se vogliamo risolvere davvero certe difficoltà educative, dovremmo andare a caccia del vero problema (non necessariamente di cause).
Il problema che accomuna quel lontano me, studente di tanti anni fa, e i ragazzi che oggi non sono ragazzi modello, dediti allo studio, obbedienti, composti, ordinati, è il bisogno di difendere qualcosa, un’autonomia, un bisogno di esistere che, se ridotto all’obbedienza, “studia e fai quello che ti dico!”, viene colpito e svilito. Colpo che nessuna persona di buon senso è disposta a subire passivamente, senza reagire, almeno anche solo per orgoglio. Allora, leggiamo la disobbedienza dei nostri ragazzi come il ‘sintomo’ di un’individualità sana, in cerca di senso, in cerca di quell’esperienze che rendono visibile l’individualità stessa, in una parola dell’identità (chi sono?).
Il problema, possiamo convenire a questo punto, non è più la matita o il tablet, gli abusi di oggetti tecnologici, abusi urlati un po’ dappertutto per allarmismo, ma comprendere che ‘il pensare ad altro’ dei nostri ragazzi, la disobbedienza, ecc., che accidentalmente appaiono sconvenienti ai nostri occhi, sono le evidenze di una importante ricerca di senso, quella essenziale della vita.
Pare che, per qualche motivo, di cui ho scritto e scriverò ancora, oggi, il difendere la propria ricerca, per i ragazzi, passa dall’abusare del tablet sapendo che al genitore questa cosa non piace e non va giù. Ma voi, pensate alla matita!
Aldo Strisciullo
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